><-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-><
><                       Chiccolino dove sei?                        ><
><                            2013/08/27                             ><
><-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-><


    «Chiccolino dove sei?»
    «Sotto terra, non lo sai?»
    «E sotto terra non fai nulla?»
    «Dormo dentro alla mia culla.»
    «Dormi tanto; ma perché?»
    «Perché voglio crescere come te!»
    «E se tanto crescerai, chiccolino, che farai?»
    «Una spiga metterò e tanti chicchi ti darò»


E questa è solo una delle innumerevoli filastrocche che, di tanto in
tanto, mi cantava Zia Dilva quando ero poco più che un chiccolino.

In realtà, Zia non era mia zia: per età, si sarebbe detta più la mia
bisnonna, ma, a causa di curiose parentele, aveva nipoti sparsi qua e
là, e, a forza di sentirla chiamare «zia», per me era diventata «Zia».
Nella sua vecchiaia, viveva sopra casa mia, insieme a suo fratello,
dopo che entrambi erano diventati vedovi, in attesa del giorno del
Giudizio.

Nonostante la sua età (quando venni al mondo, aveva già più di 80 anni),
continuava a prendersi cura della casa e dei giovani dispettosi pargoli
di casa, tra cui me, e continuò a farlo fino all'età di 96 anni, quando
le sue ossa cedettero, e dovette assumere un'aiutante.


    «Evviva la Torre di Pisa, che pende che pende e che mai non cadrà!»


Durante la mia infanzia, questi erano i ritornelli che lei mi ripeteva,
di quando in quando, per tenermi occupato. Del resto, però, io
preferivo impiegare il mio tempo srotolando i suoi rocchetti e i suoi
gomitoli, che lei pazientemente districava e riavvolgeva ogni volta,
finché non iniziò a nasconderci gli spilli e capii che forse era meglio
rivolgere la mia attenzione altrove.

Decisi perciò di dedicarmi alla pesca, avendo ottenuto in regalo il mio
«filo speciale», un po' come si regala un gomitolo ad un gatto:
la domenica mattina, prima del pranzo, lo lanciavo dal terrazzo, insieme
a un paio di mollette agganciate ad una estremità, che fungevano da amo,
e che talvolta rimanevano incastrate nella bocca di qualche siepe di
pescialloro.


    «Tu ha' fatto un nini coll'argento vivo addosso!»


Si tratta di un'altra di quelle cose che diceva spesso la Zia alla
mamma, dopo che ero stato da lei.

Finchè un giorno iniziai a ruzzare con i pennarelli (sempre scarichi) e
col taccuino a quadretti che si trovavano sotto il mobile del telefono,
e io trovai la pace, e anche la Zia.

Disegnare era diventata un'arte razionale: seguendo i quadretti, potevo
realizzare composizioni di qualsiasi tipo, rombi, quadrati, scacchiere
coloratissime... invece che piastrellista di pavimenti, ero diventato
piastrellista di taccuini a quadretti.

E poi, tappi di barattoli e di bottiglie, divennero il mio compasso, e
allora sì che la mia fantasia poteva allontanarsi dai freddi spigolosi
quadretti e volare veramente sulle dolci calde curve.

«Guarda bello Zia!» sventolando il foglietto con scritto il prefisso
telefonico, quello «strano numero che bisogna fare prima di fare i
numeri», perché, sì, anni fa non era obbligatorio comporre il prefisso
per chiamare numeri dello stesso distretto, e la Zia non aveva ancora
imparato il prefisso del nostro distretto.


    «Un par di zeri!»


Altra sua esclamazione, tipica di quando facevo qualche danno. Ma in
genere era sempre gentile, nonostante tutti i dispetti che mi
inventavo.


    «Dil-va, nata il venti-sei di dicembre mille e novecento undici»


Lo ripeteva sempre, e ogni tanto me lo scriveva a penna in uno stentato
e tremolante corsivo, sul famoso taccuino.


    «Amore, ritorna, le colline sono in fiore, ed io, amore, sto
     aspettandoti a tutte l'ore!»


Quando successe, per ancora molti anni, Zia rimase una vivace e arzilla
vecchietta a rotelle, che, con la sua forza morale, continuava a dire,
fare e comandare tutto e tutti. E ogni tanto cantava: Zia amava
tantissimo cantare, e ricordare, attraverso quelle melodie, la sua
gioventù, la sua vecchia casa, e suo marito Silio. Finché, con il
tempo, iniziò a perdere la sua delicatezza e a ricordare un certo
«Tenente Barghini, che mi stringeva tutta» ma che «aveva certe mani
diacce!».

Negli ultimi anni, abbiamo scoperto tante di quelle cose che nemmeno ce
le immaginavamo.

E poi, come con una candela, lentamente, anche quella fiammella si
spense.


    «Accendi i' lume nini! Tanto, a i' buio ci devo sta' tanto!»


            ~~~  26 dicembre 1911 -- 27 agosto 2013  ~~~